Una chiacchierata con Mister Caos e Valentina di Cataldo.
Articolo uscito su rapsomag.com il 02/05/2021
Ora che siamo in aria di zona gialla e di riapertura estiva in sicurezza fa strano pensare a come, per un altro anno, il Covid-19 abbia influenzato le nostre vite e la nostra capacità di immaginare un futuro possibile. Ora che si potrà tornare a vivere un po’ di sana e necessaria normalità è bene ricordarsi di quei pochi, ma importanti e limitatissimi istanti che ci hanno aiutato ad andare avanti, a trovare ogni giorno - nella segreta e invisibile autolettura esistenziale a cui questa pandemia mondiale ci ha obbligati - qualcosa di perturbante e incisivo che potesse farci andare avanti, un piede e un pensiero alla volta.
Tra questi momenti di trascurabile felicità c’è sicuramente QUESTA MOSTRA POTREBBE ESSERE RIMANDATA dell’artista e poeta di strada Mister Caos alla galleria Visioni Altre.
La personale, a cura di Adolfina De Stefani e Mariano Bellarosa - con la redazione di Valentina Di Cataldo, ha avuto luogo a Venezia dal 6 al 28 febbraio 2021 dopo un lungo periodo di incertezza e di proroghe.
Tra i pochissimi appuntamenti concessi e contingentati di questo secondo inverno di lockdown, QUESTA MOSTRA POTREBBE ESSERE RIMANDATA ha portato nella sede dell’Associazione di Campo del Ghetto Novo tantissimi interessati e curiosi che hanno avuto modo di vedere da vicino le opere di Mister Caos, poeta di strada e artista - come si legge nel comunicato stampa della mostra - capace di “rompere e ricomporre i confini dei linguaggi artistici codificati, decostruendo le pratiche di scrittura, poesia di strada e site specific.” Un'occasione speciale in un tempo particolare!
Per capire meglio la poetica dell’artista, le modalità di installazione e di allestimento e il lavoro certosino di curatela e critica, ho posto alcune domande proprio a Mister Caos e Valentina Di Cataldo, redattrice della personale.
1) Toupie: Per conoscerti meglio: nasci in strada e lì operi, sei sui muri di tutto il mondo (Dublino, Londra, Sarajevo e Haiti). Quanto è importante per te lo spazio in cui produci le tue opere? Come ti influenza?
MISTER CAOS: Nel corso degli anni sono arrivato alla conclusione che lo spazio urbano in cui solitamente intervengo sia già di suo il 50% dell’opera. È imprescindibile nell’elaborazione di un lavoro di arte pubblica come il mio e, soprattutto per me, è impossibile non venirne influenzato. O meglio, io voglio farmi influenzare. Voglio che la gente si senta parte di quello che sto facendo. Ho in un certo senso bisogno di loro per fare quello che (non) ho in testa. Cerco colori, rumori, suoni, parole, un po’ di tutto dentro tanti elementi. Un fritto misto di spazio urbano.
Credo che se si vuole fare arte in strada e poesia pubblica nel 2021 ci si debba inserire in punta di piedi negli equilibri della città, dei quartieri e delle dinamiche sociali dei contesti in cui ci si trova. Bisogna respirare in sintonia con chi vive i luoghi (non solo in senso residenziale), ascoltarli, elaborare pensieri e produrre dialettica. Può sembrare un compromesso artistico, forse lo è, o forse è solo in modo di far vivere, crescere e far radicare idee e storie.
Non ci si può limitare a trattare le città come delle tele qualsiasi o come fossero musei a cielo aperto, riproducendo pari pari, o in scala più grande, quello che altrimenti si farebbe su fogli o quadri. Le città non hanno bisogno di bei disegni vuoti di senso spacciati per rigenerazione urbana: questo è letteralmente nascondere la polvere sotto il tappeto. La rigenerazione urbana deve passare necessariamente da una rigenerazione sociale e quindi deve farsi attraverso le persone. Non basta fare un bel murales per dire di aver salvato una periferia (vedi tutti i casi di gentrification e di situazioni-limite come Tor Marancia, a Roma, dove i residenti si sono rivoltati contro il sistema che si è venuto a creare). Siamo bombardati tutti i giorni di immagini, parole e video provenienti da qualunque piattaforma e la maggior parte delle informazioni sono monologhi, sentenze, opinioni senza possibilità di contraddittorio. Migliaia di verità assolute al secondo. Abbiamo davvero bisogno di altri stimoli del genere anche per le strade?
2) Toupie: Il titolo della personale mette subito in luce un dato di fatto: la mostra ha seguito, in maniera convulsa, la sinusoide pandemica. Quanto ha influito il particolare periodo storico che stiamo vivendo sul progetto espositivo? In che modo? Raccontatecelo!
MISTER CAOS: Questa mostra ha avuto (almeno) tre titoli ufficiali: uno per ogni volta che abbiamo provato a inaugurarla. All’ultimo tentativo eravamo così estenuati e incerti di poterla fare davvero che l’unica soluzione era giocare con l’ironia. In coerenza con il periodo accidentato, la locandina contiene una cancellatura e una correzione in bella vista, proprio per smascherare il meccanismo e alleggerirlo un po’. Il nome è stato letteralmente un talismano, un cornino scaccia-sfiga.
Tra l’altro il nome ha decisamente contribuito a infittire la confusione di questa esperienza, che sul piano della ricerca artistica è stata per me una delle sensazioni più strane mai provate. Sono abituato ad “essere pubblico” in strada nel momento stesso in cui stacco il pennello dal muro, spesso anche prima. Le persone guardano e vivono il work in progress dei miei lavori, mi interrompono, fanno domande, commenti e in qualche modo il lavoro si arricchisce di sensazioni in corso d’opera.
Una mostra ha necessariamente bisogno di uno scarto relazionale, quindi per me è già strano in partenza pensarmi in un contesto “al chiuso”. In questo caso, poi, è stato ancora più straniante, dato che quando siamo approdati a Venezia le opere erano pronte da mesi e ai miei occhi erano già “vecchie” di un anno, quasi fuori tempo massimo. Prima dell’inaugurazione ero consapevole che la ricerca e la sperimentazione erano andate ben oltre il punto in cui si fermava la mostra. Questo è stato uno stimolo a tornare indietro e riconsiderare il senso generale del lavoro. Rielaborare i concept con Valentina di Cataldo mi ha portato a riaprire idee che pensavo archiviate e a trovare nuove chiavi di lettura.
VALENTINA DI CATALDO: A prescindere dal tipo di linguaggio, quando pensi un’opera, la immagini in un contesto e in un momento specifici, ma non è detto che mantenga la sua forza anche altrove. Essere costretti a rilavorare i concept a distanza di mesi e per un contesto totalmente nuovo, ci ha forzato a ripensare quelle stesse opere su una scala dilatata, decisamente al di là dell’immediato. L’attesa forzata ci è servita per sedimentare meglio quello che doveva rimanere e setacciare via il superfluo. Alcune opere sono cambiate anche molto tra la prima e l’ultima versione. Alla prova dei fatti, forse quel tempo sospeso era in qualche modo necessario.
3) Toupie: Da un punto di vista curatoriale: Mister Caos è un animo creativo eclettico e multidisciplinare: poeta di strada, artista site specific, autore di opere di comunità. Come hai affrontato queste molte sfaccettature nel tuo lavoro di resa critica delle opere che costituiscono QUESTA MOSTRA POTREBBE ESSERE RIMANDATA?
VALENTINA DI CATALDO: Caos è molte cose diverse e difficili da incasellare, e in questo ci somigliamo. Nella mostra sono confluiti tutti gli aspetti di Caos di cui parli sopra, ma in modo nuovo, inedito, obliquo, più amalgamato e completo.
Nei mesi di preparazione, mentre idee e progetti crescevano e mutavano forma, Caos stesso ha cambiato la sua pelle artistica nella sperimentazione, lasciandosi indietro quello che ormai era da superare e trovando una narrazione di sé inaspettata. Trattandosi di un territorio sconosciuto anche per lui, giocoforza i mezzi espressivi scelti (e le opere che ne sono derivate) sono molto diversi dal solito, ma le intenzioni sottese non sono cambiate nemmeno qui: anche in opere cartacee, di piccole dimensioni, indoor, Caos è rimasto, più che mai, se stesso.
Aveva solo bisogno di scoprirlo.
Il mio lavoro è stato innanzitutto quello di fargli da specchio, ascoltare le linee di ricerca verso cui si proiettava, fargli le domande scomode al momento giusto, metterlo alla prova, insomma. Lui si diverte a dire che io sbobino i suoi deliri a ruota libera e in parte ha ragione. Dal mio punto di vista, mi pare si possa definire come un continuo, faticoso, interessante lavoro di ritraduzione per far emergere quello che già c’era ma rimaneva a un livello implicito o confuso.
Facciamo ora un viaggio virtuale all’interno della galleria attraverso le ultime tre domande interamente dedicate alle opere in mostra.
4) Toupie: Tornando alla mostra: dal site-specific allo spazio chiuso della galleria Visione Altre a Venezia (vedi l'opera 45°24’24.6″N 09°16’02.03″E (VIAVAI) e il leporello DIARIO di 45°24'24.6"N 9°16'02.3" E esposto). Raccontaci pro e contro.
MISTER CAOS e VALENTINA DI CATALDO: VIAVAI nasce per stare lì dov’è, enorme e fruibile da nessuno se non dagli abitanti del quartiere. Il Leporello è l’esperienza sviscerata, analizzata e storicizzata, un diario di bordo, la visione interna. È come se fossero allo stesso tempo la stessa opera e due differenti. O meglio ancora la stessa opera divisa in due, sviluppata in modi diversi. L’aspetto interessante è che siamo riusciti a portare un’opera di urban art di 11.248 mq in uno spazio di poco meno di 11mq senza snaturarne l’anima. La poesia più grande al mondo nello spazio espositivo più piccolo di Venezia. Non solo siamo riusciti nell’intento iniziale, ma l’opera ha assunto un ulteriore livello di significato e un rilancio di lettura. In questo passaggio, il lavoro ha sicuramente acquistato ricchezza di senso, anche oltre le aspettative iniziali.
5) Toupie: In RITAGLI DI TEMPO, proprio come scrive Valentina di Cataldo, "rimetti insieme i pezzi". L'arte e la poesia, ora più che mai, possono aiutarci a trovare un equilibrio nonostante l'incertezza costante in cui siamo costretti a vivere: come rileggi quest'opera di "ricostruzione e ri-narrazione" in relazione al periodo di emergenza che stiamo attraversando?
MISTER CAOS: L’emergenza sanitaria mi ha obbligato a fermarmi, a restare con un unico pezzo di me da dividere in 40 mq e mi ha fatto capire che le mie fondamenta avevano bisogno di una ristrutturata. I testi di Ritagli di tempo nascono proprio un anno fa, a lockdown appena iniziato, figli di stralci di frasi e di appunti che ho scritto nel corso degli anni per parlare di me a me stesso. Fogli sparsi e riordinati per raccontarmi parti del mio passato (sì, gli psicologi costano troppo). Questa cosa ha contribuito a creare una nuova base da cui ripartire, una consapevolezza nuova a rinsaldare l’armatura delle mie fondamenta.
6) Toupie: Parlando della serie “Dizionario d’Amore Monocromatico” (DAM) scrivi: "è un progetto di ricerca sperimentale sul concetto di (in)comunicabilità." Che tipo di approccio hai utilizzato per raccontare, dal tuo punto di vista critico, queste opere impercettibili, sfumate e quasi evanescenti?
VALENTINA DI CATALDO: Il lavoro con Caos è sempre un lavoro di rilancio dialettico. Per me non si tratta quasi mai di guardare delle opere già concluse e di interpretarle ex-post, quanto piuttosto di contribuire passo per passo al processo di costruzione di senso dell’opera, fin dalle prime fasi ideative.
(In)comunicabilità, relazione, rilancio, confine, scommessa e scarto sono tematiche su cui per varie vie ragiono da anni nel mio percorso di ricerca critica, filosofica e letteraria. Quando Caos mi ha parlato della sua idea di lavorare su alcune “parole intraducibili”, intrecciare le due prospettive è stato naturale e inevitabile. Per attitudine e formazione, ovviamente io sono più abituata a lavorare con concetti astratti, catene semantiche, ragionamenti impliciti.
Il lavoro di Caos, nella sua declinazione artistica, pratica, inevitabilmente oggettuale, ha aperto potenzialità inedite, ha dato un corpo a tutte quelle teorie, le ha rese leggibili su un altro piano. Per esempio, ci ha costretto a ragionare sui modi, sulle scelte formali e sul contesto comunicativo, oltre che sul messaggio.
È stato un dialogo serrato, a volte un confronto dialettico per cercare terreno comune, un continuo ritradurci nel linguaggio dell’altro, prendere quello che trovavamo e rimetterlo in gioco. In questo senso, è stato un rilancio e un lavoro a togliere, a saggiare, a torcere il materiale che avevamo tra le mani per scoprirne la natura e le reazioni.
Durante il percorso le opere si sono modificate, affinate, levigate. Alla fine siamo rimasti con l’essenziale e proprio allora, paradossalmente, ci siamo resi conto che il DAM era diventato una cassa di risonanza per nuovi rimbalzi di senso e livelli di complessità inaspettati.
Nel DAM ci sono innumerevoli piani di lettura critica possibile, a partire dai titoli, passando per il testo poetico, fino alla tecnica di realizzazione, eppure, in questa moltitudine di rimandi, tutti gli elementi esprimono lo stesso messaggio in totale coerenza. Mai come in questo caso, l’obliquo è l’unica cifra possibile per veicolare un messaggio diretto, potente, quasi ovvio. Esattamente come succede nella forma relazionale e comunicativa umana più diretta e insieme più fragile.
Per quanto mi riguarda, è stata una rivelazione potente.
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Gli scatti sono di Massimo Di Pasquale e Giulia Pruonto
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